Detta anche fame emotiva o nervosa, non è dettata dalla fame fisiologica, ma porta a “buttarsi” sul cibo che capita, che si ha a disposizione, prevalentemente cibo spazzatura, grasso e zuccherato.

Il sistema limbico, in particolare amigdala ed ipotalamo, regola il comportamento alimentare, oltre che le emozioni (specialmente la paura) e la sessualità; nello specifico, la fame emotiva condivide i circuiti implicati nelle dipendenze, ovvero il circuito della ricompensa (circuito dopaminergico), che si attiva alla vista del cibo: l’emotional eating è a tutti gli effetti, quindi, una dipendenza, che da piacere e soddisfazione immediati, aumenta la felicità e il benessere nel breve periodo, ma provoca vergogna e senso di colpa una volta terminato il rilascio della Dopamina.

Come riesce lo zucchero ad attivare il circuito della ricompensa?

Gli zuccheri ingeriti non attivano solamente le papille gustative, ma anche il circuito della ricompensa presente in diverse aree cerebrali, grazie alla rete neuronale che invia e riceve segnali da tutto il corpo, lingua compresa. In queste aree, una volta attivate, inizia la produzione degli ormoni del benessere, tra cui appunto la dopamina, la quale a sua volta stimola la persona ad assumere più dosi di zucchero, per prolungare il senso di gratificazione. L’attivazione frequente di tale circuito porta alla perdita di controllo, al desiderio irresistibile di assumere sostanze zuccherine e ad un incremento della tolleranza verso gli zuccheri stessi, ricalcando le stesse fasi della dipendenza dalle droghe.

Anche i cibi sani provocano il rilascio di dopamina, ma in dosi minori rispetto agli zuccheri, e in tempi più lunghi; inoltre, mangiare sempre gli stessi cibi diminuisce la produzione di Dopamina e questo fa si che ci attirino sempre meno.

Perché parliamo di fame emotiva?

  • In condizioni di stress, aumenta la produzione del cortisolo, il quale a sua volta innesca il desiderio per cibi zuccherati e grassi, ad alto contenuto energetico ( e calorico), al fine di far fronte alla situazione stressante.
  • L’ansia, ugualmente allo stress, innesca il desiderio per cibi calorici, e più è alto il suo livello maggiore sarà la fame emotiva.
  • Le emozioni negative (come sentimenti autosvalutativi, tristezza, depressione, senso di vuoto, senso di colpa, solitudine) vengono messe frequentemente a tacere col cibo, in un atto compensatorio e autogratificante.
  • Si mangia come passatempo, per fronteggiare la noia e il senso di vuoto, quindi ancora una volta per distrarre dai sentimenti negativi
  • I modelli acquisiti fin dall’infanzia, ci insegnano che il cibo è una ricompensa o un premio, che gratifica.
  • Per le influenze sociali, mangiare in compagnia allevia lo stress, ma può portare ad eccessi o ad ansia sociale, poiché in un gruppo dove tutti mangiano è più facile lasciarsi andare e oltrepassare la sensazione di sazietà o viceversa sentirsi obbligati a mangiare per non farsi notare come colui che “non mangia niente”

In questi casi quindi si mangia per ridurre ansia e stress, per colmare il senso di vuoto e di solitudine, oppure per socializzare e per abbattere la noia. Il cibo viene vissuto come un “anestetico” per eliminare sentimenti negativi e di sofferenza, e per aumentare la sensazione di amore. Il mangiare infatti è una modalità primordiale di ricompensa, ci gratifica e ci dona benessere, nell’immediato. Non è caso che il rapporto con il cibo fin dalla nascita sia legato alle esperienze affettive primarie, si pensi all’allattamento e a tutti i legami che ne derivano, ma anche alle fasi dello svezzamento, importanti per la crescita sana del bambino, per poi proseguire con le cene in ambiti sociali e relazioni (cenette romantiche, cene tra amici…). Tuttavia, il mangiare inteso come metodo risolutivo di problemi è un meccanismo negativo, non efficace, poiché non permette di affrontare il problema e conduce all’evitamento. Mangiare per compensare altri bisogni (amore, senso di vuoto, noia) funziona solo momentaneamente, non sul lungo periodo; bisogna trovare altre modalità, più funzionali ed efficaci, perché i sentimenti più frequenti che subentrano una volta finito un pasto abbondante e calorico, sono quelli di colpa, che portano a svalutare il cibo “è una schifezza”, “sono solo calorie”, e sé stessi “faccio schifo”, “sono ingordo” e si accompagnano alla frustrazione per aver perso il controllo e aver ceduto all’abbuffata. Pertanto, sarebbe utile tenere un diario, dove segnare quando si mangia, perché, cosa sin prova in quel momento e cosa si pensa. Inoltre, darsi obiettivi più realistici, come ad esempio “mi concederò le patatine ogni tanto… magari una o due volte la settimana” e non “non devo più mangiare le patatine” aiuta a mantenere il controllo, il senso di gratificazione ed attesa, e permette di raggiungere più facilmente i traguardi desiderati.

FAME EMOTIVAFAME FISIOLOGICA
È improvvisa, compare un bisogno urgente ed irrefrenabile.È più graduale, non è una cosa da soddisfare immediatamente.
Si desiderano alimenti specifici gratificanti.Quasi sempre si desiderano cibi grassi o zuccherati perché solo loro “soddisfano” quel senso di fame.Qualsiasi cibo va bene per soddisfare la fame, anche frutta o verdura.
Non c’è consapevolezza di quello che si mangia, quanto si mangia e come lo si mangia.C’è più consapevolezza mentre si mangia.
Non genera una soddisfazione completa anche se si è pieni, si continua a mangiare fino a  sentirsi gonfi.Non si rischiano eccessi, una volta che si è pieni si smette di mangiare perché la fame è stata saziata.
Il desiderio della fame non lo si sente nello stomaco.Il desiderio della fame lo si avverte come un vero e proprio “buco” allo stomaco”.
Porta  a sentimenti negativi come rimpianto, senso di colpa, vergogna per aver mangiato così tanto e male e non porta ad un vero senso di piacere.Non porta a sentimenti negativi ma solo alla soddisfazione.

Che cosa comporta una fame emotiva esagerata ed incontrollata?

  • Un aumento di peso significativo.
  • Abitudini alimentari scorrette.
  • Un aumento del livello di ansia, che viceversa si riduce solo mangiando.
  • Un abbassamento della propria autostima.
  • Isolamento sociale.
  • Depressione
  • Nei casi più gravi, a disturbi veri e propri del comportamento alimentare (D.C.A.)

Un efficace trattamento della fame emotiva comprende un nuovo atteggiamento della persona verso sé stessa, con aumentate consapevolezza corporea, degli stati mentali ed emotivi. Bisogna insegnare a fronteggiare lo stress e le emozioni negative in modi alternativi al mangiare compulsivo, mettendo in atto strategie di coping più opportune; mettere da parte i “devo” relativi al peso e al dimagrire, ma adottare un pensiero più permissivo, meno rigido; capire che anche se si sgarra una volta e si mangiano le patatine o un dolce, questo non intacca il loro valore come persone o la loro autostima: sono sempre le stesse persone di prima, e aver ceduto una o due volte non significa non farcela più.

Dott.ssa Giulia Adorante